lunedì 10 dicembre 2007

[Recensione] Amore senza confini - Beyond borders


Clive Owen come medico senza frontiere è un conto. Angelina Jolie come volontaria in Africa, è decisamente un altro.
A parte la premessa fantascientifica, la trama sembra essere dipanata nel titolo stesso: “Amore senza confini”. Al momento di scrivere queste parole, non ho ancora visto il film, quindi, faccio delle proiezioni. Loro due si conoscono, si amano, ma sorgono dei problemi (logistica? guerre? malattie? Esplosioni di botox?). I finali possibili sono due: vanno in pensione in Costa Azzurra e si amano per tutta la vita o uno dei due muore di polmonite, anzi, meglio, malaria.
Comincio.
Una donna suona il pianoforte; è vestita di nero, con un filo di perle (un sottile indizio sul tenore di vita): la identifichiamo come Angelina Jolie dopo che una carrellata si sofferma, guarda caso, sulle sue leggendarie poppe. Una voce fuori campo, la sua, ci informa che lei è lì e lui è lontano (ma dai?) e comincia a raccontare della sera in cui si sono conosciuti.
Ci spostiamo in una sala da ballo (è un evento benefico) dove gli elegantissimi presenti ballano scatenati al ritmo di “Should I stay or should I go”. Per farci capire il gap temporale, Angelina indossa una parrucca da battona, modello Mia Wallace. Semmai gli astanti fossero stati distratti durante il passaggio, appare anche la scritta 1984. E gli occhi di Clive Owen si intrufolano di prepotenza nell’inquadratura. *sospiro* (anche se il frammento di per sé era completamente inutile). Con sé ha un bambinetto di colore e gli parla in una lingua africana.
In un paio di minuti si capisce che Angelina si è sposata da poco con un sosia di Tim Roth (che a fine film mi è sovvenuto chi fosse… il papà di Bruce Wayne in Batman begins), il quale è il figlio di un riccone caritatevole: ecco spiegato l’evento. Inoltre, ci informano che lei ha una sorella peculiare (che senza Sfigatto e Ben Stiller alle calcagna, avevo faticato a riconoscere), che non vede i genitori da tempo e che in teoria ama il marito molto molto molto.
Un po’ di trambusto precede l’entrata di Clive Owen, che, indignato dal ritiro degli aiuti per il suo campo in Etiopia, è lì per fare un po’ di fracasso (che soluzione intelligente!). Nel frattempo Angelina viene scaraventata a terra (ma tanto ha l’airbag. Che battuta gratuita, mi stupisco di me stessa!) ed emana sospiri di sorpresa e di partecipazione sentita alle questioni poste dal medico (ma dove viveva questa, prima?) e con gli occhi lucidi sicuramente si sta già facendo un film in testa (Sposata io? Un errore giovanile!). La dimostrazione continua e lei si mette addirittura a piangere dalla tristezza. Arrestano Clive e cercano di deportare il bambino, ma lui si nasconde dietro ad un’automobile, scappa e muore. Clive esce di prigione, la cauzione è stata pagata da un uomo appartenente a qualche associazione che vuole corromperlo per poter entrare in Etiopia. Clive, duro e puro come sempre, rifiuta. Angelina si sveglia e sentendo alla tv della morte del del ragazzo, ne rimane talmente sconvolta che in un pomeriggio prepara un piano per la salvezza di mezza Africa, convince il marito a raccattare soldi per attuarlo e corre in Etiopia, vestita come se andasse ad un tea party, compese zeppe di corda. Mentre il convoglio procede nel deserto, si getta dal camion in corsa per salvare un bambino da un’oca assassina (io ero rimasta ai pomodori assassini, le oche mi mancavano). Una rivolta popolare attacca il convoglio, Angelina viene catapultata per terra (e due!) ma Clive arriva e salva tutti con il suo savoir faire figliodiputtanesco. Vestito come Indiana Jones. Lei è già fremente al pensiero della sua mascolinità ma lui è ovviamente troppo occupato da questioni più importanti per cagarla. Quanto resisterà al suo fascino? Altri quindici minuti?
Lui continua a prenderla a pesci in faccia dandole della viziata, ragazzina, improfumata, tutto ciò mentre sta facendo un’operazione a torace aperto in una catapecchia. Un po’ come nei nostri ospedali. Lei si affeziona al bambino moribondo e cerca di curarlo ma naturalmente non sa da che parte prendere. E lui la tratta male. Mi chiedo che cosa farà scoppiare l’amore in quest’ambientazione apocalittica degna di un generico film horror zombesco.
Continua a non cagarla fino a che non la sente suonare Schumann (un pianoforte è comparso nella tendopoli, utilissimo ad alleviare la sofferenza dei trentamila abitanti moribondi) e la va a trovare in tenda. In molti meno dei quindici minuti da me pronosticati.
Il bambino attaccato dall’oca sanguinaria riesce a sopravvivere e Clive è decisamente caduto nella trappola della bellona. Con la scusa di portare dei travel’s cheques a Clive, Angelina lo va a trovare in tenda (testarda!) e le rifila qualche discorsetto moraleggiante e depressivo della serie “Non chiamo le persone per nome così quando muoiono soffro di meno”. Lei se ne torna a Londra, senza aver battuto chiodo.
Nel 1989 la coppia felice ha ora un bambino rompipalle e non è più tanto felice, visto che lui ha perso il lavoro (e il padre non è più riccone come prima). Lei lavora per le nazioni unite e riceve la telefonata di un tizio che lavorava con lei in Etiopia. Mentre torna a casa senza avvisare, trova il marito con una ex collega, che sembrano essere stati sorpresi sul più bello. Il tizio, che ora lavora in Cambogia, le dice che c’è un carico di aiuti da accompagnare e lei, dopo essersi informata sulla salute di Clive (se è vivo buona, se è malato figurati se vado a trovarlo, magari mi prendo qualcosa), si offre volontaria (marpionazza!).
In Cambogia, Clive si è impelagato con il corruttore di inizio film: tra la crisi, tra l’impegno di salvare vite umane si è dovuto arrendere al denaro. Quando si incontrano, entrambi hanno gli occhietti a cuore e non vedono l’ora di rimanere un secondo soli soletti. Quando stanno per consegnare il carico, il colonnello stronzo di turno gli fa aprire le casse e all’interno ci trovano delle armi, binocoli e istruzioni pratiche. Clive spergiura che non ne sapeva nulla ma viene picchiato e colpito in faccia con una bacchetta telescopica (ahia!). Come se non bastasse lo prende a calci pure lei e unendosi al coro di sputi. Litigano perché lei si sente tradita nella sua purezza umanitaria ma lui ha le sue buone ragioni per contrabbandare armi per conto della CIA.
Arrivati a destinazione, quelli che aspettavano le armi rimangono a bocca asciutta e si incacchiano ferocemente dando la colpa a loro, uccidendo un paio di persone (compreso il tizio simpatico dell’Etiopia - in un film di guerra, più sei simpatico e gentile, più possibilità hai di morire-). Dopo aver trasferito l’accampamento, inseguiti dai rossi nemici, Angelina fa la sua mossa speciale ormai collaudata: va a trovare in tenda Clive per consolarlo della morte dell’amico. Si sa come reagiscono gli uomini di fronte a queste cose: o ti ignorano o ti saltano addosso. Ovviamente qui si propende per la seconda (altrimenti il film non regge) e la frittata è fatta. In mancanza di vie di fuga come “Devo dare da mangiare al gatto” oppure “Domani mi devo svegliare presto” dopo il sesso cominciano a farsi delle domande personali e dei discorsetti sulla sfiga umana: “Tutti quelli che mi stanno vicino muoiono, vattene! Il tuo posto è con la tua famiglia!”.
Altra elissi. Londra 1999. La famiglia si è allargata (c’è una bambina in più) e Angelina è diventata ambasciatrice dell’UNHCR. Mentre tiene un discorso ad un pranzo di beneficienza si autoemoziona e se ne va, lasciandolo a metà. Convince la sorella (all’inizio giornalista di quart’ordine, ora inviata speciale) a cercare informazioni su Clive, che ora è in Cecenia, perché sa che si trova nei guai (sei ambasciatrice di una commissione dell’ONU e devi servirti di qualcun altro per cercare informazioni su un volontario? Per quale motivo?!). La sorella scopre qualcosa e lei fa le valige nel bel mezzo della notte, lasciando un biglietto al marito, che però la sgama durante la fuga e le fa venire i sensi di colpa (ma neanche tanto).
Dopo aver visto Angelina nel deserto, nelle paludi e in città, la vediamo ora col colbacco, evidentemente giunta in Cecenia. Dopo un attacco di una qualche banda armata, Clive è sparito, probabilmente rapito, quindi con poche possibilità di sopravvivere.
Angelina riceve la visita del contrabbandiere della CIA che le dice di avere delle conoscenze sulle montagne, per portarla da Clive (visto che lui è troppo codardo per andarci, mica perché gli fa pena). Il medico viene tenuto legato in una baracchetta in un bosco spelacchiato e quando lei arriva, cominciano a bombardare la zona (che culo). Durante il caos, mentre lui è ancora mezzo svenuto, lei gli confida che la figlia è sua (che notiziona da Beautiful). Riescono a scappare dalla baracca ma la banda li insegue. A dieci metri dalla tendopoli della Croce Rossa, sparano a lui e mentre lei scappa, mette il piede su una mina, che esplode. Di lei rimane solo un po’ di terra abbrustolita mentre lui sopravvive.

PS: Lettera aperta a Clive Owen. Perché non accetti il ruolo di Bond? Ti prego!!! Siamo stufi di Gollum!!!

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